La luna di miele fra l’Italia e il governo sta volgendo al termine. Non c’è bisogno di fare sondaggi per accorgersene: chi ha votato a sinistra pensa di aver fatto l’unica cosa possibile, mentre molti elettori di destra non nascondono la loro delusione e i loro dubbi. Eletto per occuparsi di noi, Berlusconi sembra preoccuparsi solo di sé: prima Rete 4, poi le intercettazioni, poi il processo Mills, poi il disegno di legge salva-premier, poi di nuovo le intercettazioni, i giornalisti, i magistrati.
Però non è così. Mentre noi ci godiamo il calcio e il reality delle attricette raccomandate il governo sta lavorando alacremente, e quel che sta facendo in questo periodo avrà conseguenze durature sulla nostra vita. Il governo ha approvato un decreto sulla sicurezza e un decreto fiscale, ha presentato il Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef), si appresta a varare anticipatamente la legge finanziaria. Inoltre ha deciso che questa volta la manovra non riguarderà solo l’anno a venire (2009), ma inciderà direttamente anche sugli anni successivi.
Che cosa ci riservano tutte queste iniziative? Spero di sbagliarmi, ma a occhio e croce direi che il governo sta silenziosamente tradendo le speranze di chi l’ha votato. Non tanto perché si appresta a varare l’ennesimo pacchetto di leggi ad personam (questo, colpevolmente, interessa poco gli italiani, e pochissimo gli elettori di centro-destra), ma perché più o meno esplicitamente sta facendo marcia indietro sui tre fronti che - appena tre mesi fa - lo avevano visto vincere la sfida con il centro-sinistra.
Il primo fronte sono le tasse. Ho letto attentamente il Dpef e con grande sorpresa ho scoperto che la pressione fiscale non diminuirà nemmeno entro il 2013, e sarà allora più o meno la medesima di oggi, appena ereditata da Prodi (circa il 43% del pil). In poche parole per i prossimi cinque anni le tasse non scenderanno, mentre in campagna elettorale il centro-destra aveva promesso di ridurle progressivamente al di sotto del 40% del Pil (almeno 50 miliardi di euro di tasse in meno, ai prezzi attuali). Coerentemente, il tasso di crescita dell’Italia previsto per i prossimi anni è modestissimo (meno dell’ 1,5%), e resta ampiamente al di sotto di quello dell’Eurozona. In materia di tasse l’unica luce che si intravede all’orizzonte è la semplificazione degli adempimenti fiscali, che speriamo possa procedere senza intoppi e produrre qualche effetto benefico.
Il secondo fronte è la sicurezza. Qui spiace fare la Cassandra, ma per cancellare il mio pessimismo qualcuno dovrebbe spiegarmi come si fa ad avere più giustizia e meno criminalità finché: a) si riducono le risorse alle forze dell’ordine; b) non si fanno investimenti massicci nell’edilizia carceraria; c) si limitano le intercettazioni senza conferire risorse economiche sostitutive; d) si vara una sospensione dei processi che diminuirà l’efficienza della giustizia (un punto rilevato da molti, ma magistralmente spiegato nei dettagli da Bruno Tinti qualche giorno fa su questo giornale).
L’ultimo fronte è la lotta agli sprechi. Non ho dubbi che ministri come Renato Brunetta (Funzione pubblica) e Mariastella Gelmini (Istruzione e università) siano armati delle migliori intenzioni, ma vorrei ricordare che il problema degli sprechi della Pubblica Amministrazione è concentrato in determinati territori (spesso al Sud, ma non solo), e che il ministro Tremonti aveva preso l’impegno di fissare obiettivi di risparmio geograficamente differenziati. Mi auguro di essere smentito, ma mi pare che finora il riferimento alle differenze regionali sia rimasto un po’ generico (si parla di una grande discussione d’autunno sul federalismo fiscale), e che anzi qualche volta si sia riaffacciato lo spettro del «metodo Gordon Brown», ossia di tagli generalizzati o proporzionali alla spesa storica.
Niente diminuzione delle tasse. Improbabile aumento della sicurezza. Scarsa riduzione degli sprechi. Questo mi sembra quel che rischiamo nei prossimi anni. E tutto perché, mentre su questo si decideva, eravamo concentrati tutti quanti su un solo sia pure importantissimo nodo politico: la 374esima puntata della serie tv «Io, le veline e i magistrati».
(tratto da La Stampa, di Luca Ricolfi)
Però non è così. Mentre noi ci godiamo il calcio e il reality delle attricette raccomandate il governo sta lavorando alacremente, e quel che sta facendo in questo periodo avrà conseguenze durature sulla nostra vita. Il governo ha approvato un decreto sulla sicurezza e un decreto fiscale, ha presentato il Documento di programmazione economico-finanziaria (Dpef), si appresta a varare anticipatamente la legge finanziaria. Inoltre ha deciso che questa volta la manovra non riguarderà solo l’anno a venire (2009), ma inciderà direttamente anche sugli anni successivi.
Che cosa ci riservano tutte queste iniziative? Spero di sbagliarmi, ma a occhio e croce direi che il governo sta silenziosamente tradendo le speranze di chi l’ha votato. Non tanto perché si appresta a varare l’ennesimo pacchetto di leggi ad personam (questo, colpevolmente, interessa poco gli italiani, e pochissimo gli elettori di centro-destra), ma perché più o meno esplicitamente sta facendo marcia indietro sui tre fronti che - appena tre mesi fa - lo avevano visto vincere la sfida con il centro-sinistra.
Il primo fronte sono le tasse. Ho letto attentamente il Dpef e con grande sorpresa ho scoperto che la pressione fiscale non diminuirà nemmeno entro il 2013, e sarà allora più o meno la medesima di oggi, appena ereditata da Prodi (circa il 43% del pil). In poche parole per i prossimi cinque anni le tasse non scenderanno, mentre in campagna elettorale il centro-destra aveva promesso di ridurle progressivamente al di sotto del 40% del Pil (almeno 50 miliardi di euro di tasse in meno, ai prezzi attuali). Coerentemente, il tasso di crescita dell’Italia previsto per i prossimi anni è modestissimo (meno dell’ 1,5%), e resta ampiamente al di sotto di quello dell’Eurozona. In materia di tasse l’unica luce che si intravede all’orizzonte è la semplificazione degli adempimenti fiscali, che speriamo possa procedere senza intoppi e produrre qualche effetto benefico.
Il secondo fronte è la sicurezza. Qui spiace fare la Cassandra, ma per cancellare il mio pessimismo qualcuno dovrebbe spiegarmi come si fa ad avere più giustizia e meno criminalità finché: a) si riducono le risorse alle forze dell’ordine; b) non si fanno investimenti massicci nell’edilizia carceraria; c) si limitano le intercettazioni senza conferire risorse economiche sostitutive; d) si vara una sospensione dei processi che diminuirà l’efficienza della giustizia (un punto rilevato da molti, ma magistralmente spiegato nei dettagli da Bruno Tinti qualche giorno fa su questo giornale).
L’ultimo fronte è la lotta agli sprechi. Non ho dubbi che ministri come Renato Brunetta (Funzione pubblica) e Mariastella Gelmini (Istruzione e università) siano armati delle migliori intenzioni, ma vorrei ricordare che il problema degli sprechi della Pubblica Amministrazione è concentrato in determinati territori (spesso al Sud, ma non solo), e che il ministro Tremonti aveva preso l’impegno di fissare obiettivi di risparmio geograficamente differenziati. Mi auguro di essere smentito, ma mi pare che finora il riferimento alle differenze regionali sia rimasto un po’ generico (si parla di una grande discussione d’autunno sul federalismo fiscale), e che anzi qualche volta si sia riaffacciato lo spettro del «metodo Gordon Brown», ossia di tagli generalizzati o proporzionali alla spesa storica.
Niente diminuzione delle tasse. Improbabile aumento della sicurezza. Scarsa riduzione degli sprechi. Questo mi sembra quel che rischiamo nei prossimi anni. E tutto perché, mentre su questo si decideva, eravamo concentrati tutti quanti su un solo sia pure importantissimo nodo politico: la 374esima puntata della serie tv «Io, le veline e i magistrati».
(tratto da La Stampa, di Luca Ricolfi)
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