Il Nord e il Pd

. lunedì 21 aprile 2008

NEL Paese che cambia, ci sono riforme che non costano nulla, se non un atto di coraggio. Esempio: andare da un notaio, e firmare l'atto di nascita del Partito Democratico del Nord, federato al partito nazionale, con il sindaco di una grande città come segretario. Una forza politica leale a Veltroni ma autonoma, coerente col Pd nei valori ma indipendente nelle sue priorità e nei suoi programmi, soprattutto insediata nella zona italiana del cambiamento, e capace di una sua specifica rappresentanza: in uomini, interessi, esigenze e problemi. Tutto questo non nella convinzione che il Nord si sia consegnato alla destra per sempre. Anzi. Il voto, rovesciando il cannibalismo con cui Berlusconi si cibò della Lega nei primi anni della sua avventura, vede, al Senato, il Pdl calare di 70mila voti in Piemonte, di 254mila in Veneto, di 236mila in Lombardia, a vantaggio della rimonta bossiana. E il Pd, che cresce di 295mila consensi in Lombardia e di 72mila in Piemonte, è pari ad ognuno dei suoi avversari in tutto il Nordest, ed è addirittura primo in tutti i capoluoghi veneti, Vicenza, Verona e Treviso compresi.

Ma il nuovo partito "metropolitano" non arriva al popolo minuto del capitalismo personale che innerva di innovazione e modernità l'area della Pedemontana, né al reddito fisso nordista colpito dalla crisi nella sua rappresentatività sociale. Non è vero che questo sistema economico e sociale rifiuta la politica, perché nella presenza capillare della Lega unita al populismo berlusconiano ha cercato comunque una ipotesi politica di rappresentazione, di interpretazione e di tutela del suo mondo.

Il problema della sinistra è che è esterna prima ancora che estranea a questa trasformazione molecolare del lavoro e della produzione, perché ferma ad una concezione fordista, "evoluzionista", dove la piccola impresa è solo l'impresa da piccola e non un soggetto della modernità, che opera nei luoghi del cambiamento, produce beni immateriali come informazione, servizi, finanza, conoscenza: leve di nuove figure professionali, nuovi saperi, nuovi diritti, nuove domande.

Da questa metropoli diffusa, come anche da Milano, la sinistra non può rimanere fuori, se vuole essere credibile come soggetto del cambiamento. Non può regalarla alla destra, né può pensare che la destra sia lì per caso. Un'offerta di culture diverse può arricchire la zona più ricca d'Italia, nell'interesse del Paese. Forse il Pd del Nord non servirà per vincere, ma servirà per vivere, o almeno per capire.

(la Repubblica, 18 aprile 2008)


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