E ora? Ora che dirà chi in questi mesi ci ha dipinto un mondo in bianco e nero, ci ha raccontato la violenza a gogo nelle città governate dalla sinistra, con gli immigrati forniti di licenza di spadroneggiare nelle vesti di rapinatori o stupratori? A Verona un ragazzo è stato ridotto in fin di vita da un branco di ventenni per una sigaretta rifiutata. E in questo episodio, via via che se ne chiarisce il contesto, si concentra una quantità di informazioni in grado di mettere in crisi gli stereotipi di mesi di informazione drogata. Dov'è, dunque, che la vita vale poco? Se tempo fa l'opinione pubblica era stata sconvolta dalla notizia che nell'hinterland napoletano, in piena Gomorra, un ragazzo era stato ucciso a coltellate per rubargli il motorino, qua nella ricca e civilissima Verona un ragazzo è moribondo per una ragione ancora più futile: il rifiuto di una sigaretta chiesta chissà con che toni e con che intenzioni. E ancora. Quali etnie esprimono una assoluta assenza di freni nel delinquere? Se in più occasioni ha fatto comprensibilmente impressione la selvaggia violenza con cui hanno agito le bande slave durante le rapine in villa nel nord Italia o sull'Appennino, altrettanta impressione fa la selvaggia violenza di questo branco veronese, che sembra avere avuto per culla benedicente il tifo ultrà cittadino e le sue bande impunite.
Insomma: l'aggressione di gruppo è stata compiuta da italiani che (così dicono i testimoni) parlano il dialetto veneto; in una città di quel nord-est che reclama da sempre ordine e tolleranza zero contro la violenza degli immigrati; mentre il retroterra culturale è, per ciò che gli investigatori hanno appurato, quello della stessa estrema destra che, a furia di saluti romani, promette al paese di ridargli la agognata sicurezza, di restituire ai cittadini il diritto di camminare sicuri per le strade. L'estrema destra che presidia le curve, che manifesta con il Veneto Fronte Skinheads e che a Verona è giunta con tutti gli onori in consiglio comunale, parte della nuova maggioranza.
Sia chiaro, giusto per non lasciare margine agli equivoci. Quello che è accaduto a Verona poteva accadere in qualsiasi città italiana, visto il livello di violenza potenziale che scorre impaziente sotto la pelle di una società sempre meno capace di controlli e autocontrolli. Né quel che è accaduto può ragionevolmente essere imputato al sindaco Tosi e alla sua giunta. Occorre cioè evitare un gioco al massacro speculare a quello in cui si è specializzata la destra: attribuire per definizione ai sindaci gli episodi di violenza che si verificano nelle città governate dalla sinistra, facendo del dibattito sulla sicurezza una specie di maionese impazzita. Con tanti saluti alla serietà richiesta da quello che viene comunque rappresentato come il primo e più urgente dei problemi italiani.
Oggi Verona ci consegna una realtà assai diversa, terribilmente più complessa, senz'altro più inquietante di quella imperante nei mesi della campagna elettorale. L'idea che per conquistare più alti livelli di sicurezza si debba guardare solo alla criminalità "da importazione" produce un rischiosissimo strabismo. Non solo perché in questo paese la criminalità organizzata indigena è tuttora viva e vegeta, nonostante i molti colpi subiti. E il suo stato di salute non può lasciare tranquillo proprio nessuno. Ma anche perché si coglie sempre più una violenza diffusa, molecolare, che tende a insinuarsi con capacità espansive in molte pieghe ed enclaves sociali. Basti pensare al tifo ultrà, e alla sua capacità offensiva verso le istituzioni e verso le persone. Un tifo mai perseguito e mai punito sul serio, e che trova i suoi momenti epico-simbolici nell'omicidio Raciti o nell'assalto di massa compiuto pochi mesi fa a Roma contro le stesse caserme delle forze dell'ordine (cosa mai accaduta neanche ai tempi della contestazione più dura). E' stupefacente che quando si parla di sicurezza e di legalità questo capitolo (che fra l'altro presenta da anni proprio a Verona una delle punte di maggiore allarme) non venga mai affrontato. Ma si pensi ancora alla quantità di ferimenti e omicidi che si verificano con regolarità impressionante nei pressi delle discoteche, con protagonisti (alla pari, si direbbe) italiani e immigrati, quasi che nella società del divertimento si siano realizzate autentiche zone franche dal diritto. Oppure si pensi al fenomeno del bullismo delle scuole e fuori dalle scuole. O alla estrema facilità con cui si mette in gioco la vita degli altri, oltre che la propria, sulle strade, e non solo di notte.
Ecco, chi scrive non indulge a descrizioni catastrofiche dello scenario nazionale quando parla di sicurezza. Sa che certi reati (spesso i più gravi) sono da tempo in discesa. Ma sa anche che altri (non secondari) sono in aumento, e che questo produce, in termini di paura, un impatto tanto più forte quanto più invecchia la popolazione e quanto più i mezzi di informazione ci fanno apparire vicino un delitto avvenuto in aree lontane, e di cui un tempo mai avremmo nemmeno sentito parlare. E dunque coglie e osserva con preoccupazione le molte correnti criminogene che percorrono una società aperta e precaria, ricca e diseguale, snervata dei propri valori e continuamente sospinta verso l'ammirazione acritica del denaro e della forza. Ma, appunto, una cosa bisogna sapere: queste correnti sono molte. E' lecito allora, è utile nasconderne alcune dietro lo scudo ideologico del pregiudizio razziale, concentrare l'allarme sociale solo sulle voci che fomentano il razzismo? Così come non è responsabile (e purtroppo lo si è fatto...) negare la presenza di una temibile criminalità da immigrazione, altrettanto non è responsabile usare quella criminalità per esorcizzare "tutto il resto". Per esorcizzare quel che ci è scomodo vedere, a partire da questi "nostri giovani" un po' esuberanti -avranno bevuto un po' o saranno stati provocati-, e investire invece politicamente sulla paura per il diverso, che sia nomade o immigrato. Anche perché, a seguire questa strada, potrebbe accadere che la stessa vittoria elettorale, perfino a dispetto dei vincitori, dia alla testa di chi pensa che sia finalmente suonata l'ora del "liberi tutti". Che sia arrivato il momento in cui è consentito essere un po' "scavezzacolli". Se la sinistra ha i suoi limiti nell'affrontare il tema della sicurezza, la destra ha i propri. Che non pesano di meno. E non è detto che non siano più densi di pericoli.
(Nando Dalla Chiesa – Unità 5 maggio 2008)
Insomma: l'aggressione di gruppo è stata compiuta da italiani che (così dicono i testimoni) parlano il dialetto veneto; in una città di quel nord-est che reclama da sempre ordine e tolleranza zero contro la violenza degli immigrati; mentre il retroterra culturale è, per ciò che gli investigatori hanno appurato, quello della stessa estrema destra che, a furia di saluti romani, promette al paese di ridargli la agognata sicurezza, di restituire ai cittadini il diritto di camminare sicuri per le strade. L'estrema destra che presidia le curve, che manifesta con il Veneto Fronte Skinheads e che a Verona è giunta con tutti gli onori in consiglio comunale, parte della nuova maggioranza.
Sia chiaro, giusto per non lasciare margine agli equivoci. Quello che è accaduto a Verona poteva accadere in qualsiasi città italiana, visto il livello di violenza potenziale che scorre impaziente sotto la pelle di una società sempre meno capace di controlli e autocontrolli. Né quel che è accaduto può ragionevolmente essere imputato al sindaco Tosi e alla sua giunta. Occorre cioè evitare un gioco al massacro speculare a quello in cui si è specializzata la destra: attribuire per definizione ai sindaci gli episodi di violenza che si verificano nelle città governate dalla sinistra, facendo del dibattito sulla sicurezza una specie di maionese impazzita. Con tanti saluti alla serietà richiesta da quello che viene comunque rappresentato come il primo e più urgente dei problemi italiani.
Oggi Verona ci consegna una realtà assai diversa, terribilmente più complessa, senz'altro più inquietante di quella imperante nei mesi della campagna elettorale. L'idea che per conquistare più alti livelli di sicurezza si debba guardare solo alla criminalità "da importazione" produce un rischiosissimo strabismo. Non solo perché in questo paese la criminalità organizzata indigena è tuttora viva e vegeta, nonostante i molti colpi subiti. E il suo stato di salute non può lasciare tranquillo proprio nessuno. Ma anche perché si coglie sempre più una violenza diffusa, molecolare, che tende a insinuarsi con capacità espansive in molte pieghe ed enclaves sociali. Basti pensare al tifo ultrà, e alla sua capacità offensiva verso le istituzioni e verso le persone. Un tifo mai perseguito e mai punito sul serio, e che trova i suoi momenti epico-simbolici nell'omicidio Raciti o nell'assalto di massa compiuto pochi mesi fa a Roma contro le stesse caserme delle forze dell'ordine (cosa mai accaduta neanche ai tempi della contestazione più dura). E' stupefacente che quando si parla di sicurezza e di legalità questo capitolo (che fra l'altro presenta da anni proprio a Verona una delle punte di maggiore allarme) non venga mai affrontato. Ma si pensi ancora alla quantità di ferimenti e omicidi che si verificano con regolarità impressionante nei pressi delle discoteche, con protagonisti (alla pari, si direbbe) italiani e immigrati, quasi che nella società del divertimento si siano realizzate autentiche zone franche dal diritto. Oppure si pensi al fenomeno del bullismo delle scuole e fuori dalle scuole. O alla estrema facilità con cui si mette in gioco la vita degli altri, oltre che la propria, sulle strade, e non solo di notte.
Ecco, chi scrive non indulge a descrizioni catastrofiche dello scenario nazionale quando parla di sicurezza. Sa che certi reati (spesso i più gravi) sono da tempo in discesa. Ma sa anche che altri (non secondari) sono in aumento, e che questo produce, in termini di paura, un impatto tanto più forte quanto più invecchia la popolazione e quanto più i mezzi di informazione ci fanno apparire vicino un delitto avvenuto in aree lontane, e di cui un tempo mai avremmo nemmeno sentito parlare. E dunque coglie e osserva con preoccupazione le molte correnti criminogene che percorrono una società aperta e precaria, ricca e diseguale, snervata dei propri valori e continuamente sospinta verso l'ammirazione acritica del denaro e della forza. Ma, appunto, una cosa bisogna sapere: queste correnti sono molte. E' lecito allora, è utile nasconderne alcune dietro lo scudo ideologico del pregiudizio razziale, concentrare l'allarme sociale solo sulle voci che fomentano il razzismo? Così come non è responsabile (e purtroppo lo si è fatto...) negare la presenza di una temibile criminalità da immigrazione, altrettanto non è responsabile usare quella criminalità per esorcizzare "tutto il resto". Per esorcizzare quel che ci è scomodo vedere, a partire da questi "nostri giovani" un po' esuberanti -avranno bevuto un po' o saranno stati provocati-, e investire invece politicamente sulla paura per il diverso, che sia nomade o immigrato. Anche perché, a seguire questa strada, potrebbe accadere che la stessa vittoria elettorale, perfino a dispetto dei vincitori, dia alla testa di chi pensa che sia finalmente suonata l'ora del "liberi tutti". Che sia arrivato il momento in cui è consentito essere un po' "scavezzacolli". Se la sinistra ha i suoi limiti nell'affrontare il tema della sicurezza, la destra ha i propri. Che non pesano di meno. E non è detto che non siano più densi di pericoli.
(Nando Dalla Chiesa – Unità 5 maggio 2008)
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