Sulla raccolta di impronte digitali a Rom e Sinti

. domenica 13 luglio 2008

Nemmeno la recente condanna effettuata dal Parlamento Europeo fermerà il Governo italiano: la schedatura razzista dei Rom e dei Sinti proseguirà, anche quella dei loro bambini, in quanto potenziali futuri “criminali”, con una legislazione d’emergenza che calpesta numerose norme italiane ed europee. I rifiuti sociali vanno eliminati, no? Questa è la triste verità, altro che “censimento” per aiutare i piccoli “nomadi” nella scolarizzazione (molti dei quali di cittadinanza italiana, altri fuggiti dai Balcani a seguito delle guerre degli ultimi anni). Chiunque opera in questi delicati contesti, come le associazioni di volontariato che frequentano davvero i campi, sa che le operazioni umanitarie si conducono in ben altro modo, e non all’interno di un crescente clima forcaiolo in cui razzismo “popolare” e razzismo “istituzionale” si saldano, consentendo che si passi velocemente dal pregiudizio alla discriminazione e alla violenza più o meno legittimata (come negli episodi di incendi ai campi, o di molotov come nel caso di Novara). Cosa si direbbe se si schedassero e si raccogliessero le impronte di tutti gli abitanti dei comuni italiani ad alta densità di criminalità organizzata? Anche lì c’è molta evasione scolastica…
Come associazione che ha le proprie radici ideali nella Resistenza al nazifascismo, abbiamo dunque l’obbligo di ricordare che solo 70 anni fa, in un clima di indifferenza quasi generale, questo Paese promulgò le leggi razziali, dopo che censimenti apparentemente “normali”, di stampo burocratico, si erano sviluppati per qualche mese. La legislazione antisemita (preceduta dalle norme contro i neri delle “colonie”africane) entrò lievemente nella “normalità” della società italiana. Non basta certo il Giorno della memoria per cancellare queste tragiche responsabilità, tanto più se se si finge di non averle. Gli archivi con i dati raccolti servirono allora a individuare, poi discriminare, segregare e infine deportare ebrei e rom (perché non è ancora un dato così noto che anche 500.000 esseri umani appartenenti a questo gruppo, furono assassinati nei lager), così come, per altra via, omosessuali e oppositori politici. E, come diceva Hannah Arendt, fu la banalità del male ad essere determinante, quella banalizzazione che cancellava le responsabilità trasformandoli in fatti tecnici, burocratici, normali: l’ottimo funzionario Eichmann, responsabile nel Reich dell’organizzazione delle deportazioni, così meticoloso e beneducato, poteva dunque dirsi innocente durante il famoso processo.
Non occorre trovare simpatici Rom e Sinti, e neppure negare che alcuni di loro siano colpevoli di atti criminosi, per difenderli totalmente in questa evenienza. Perché la responsabilità è individuale, non etnica, e il nostro Paese dovrebbe ricordare di avere già subito altre condanne europee per la mancata integrazione di questa minoranza. L’ipocrisia di chi nasconde atti di discriminazione etnica, compiuti in nome dello Stato (e dunque ben più gravi di quelli compiuti dal singolo cittadino), fingendo che si tratti di atti umanitari, è la stessa di chi sta strumentalizzando la paura della diversità nei confronti degli stranieri (una paura “umana” di fronte all’insicurezza dell’ignoto), trasformando ogni migrante in capro espiatorio di tutte le insicurezze vissute da una società in profonda crisi. E’ un’ipocrisia colpevole e meschina: cosa succederebbe al nostro sistema sociale se, come per incanto, i migranti scomparissero di colpo?
D’altra parte il rispetto delle minoranze è un grande termometro di civiltà. E per citare ancora la Arendt, “Poter andare dove si vuole è il gesto originario dell’essere liberi, mentre la limitazione di tale libertà è stata da tempi immemorabili il preludio della schiavitù”.
Per tutte queste ragioni l’ANPI provinciale aderisce all’appello “emergenza civiltà, emergenza diritti umani” promosso dalle associazioni novaresi che saranno in piazza Cavour il prossimo 15 luglio, e alla campagna di Arci e Aned (associazione ex deportati nei lager nazisti) per la raccolta delle proprie impronte digitali, come forma attiva di protesta contro la schedatura in atto, proprio per il valore universale che essa sta assumendo.

Anna Cardano, Presidente ANPI provincia d Novara


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